20 dicembre 2012

Roberto Bolle si confessa su "Vanity Fair"



Quando parla fa ridere anche i polli, con sta polpetta in bocca che non si può proprio sentire. Roba che ti domandi se lo stia facendo apposta o meno per far credere che anche lui ha un difetto, ma quando si spoglia e balla non ce n'è per nessuno. Lascia tutti a bocca aperta!

Roberto Bolle, l'étoile italiana più famosa e talentuosa nel mondo, torna a spogliarsi sulle pagine di Vanity Fair, mostrando tutte le sue enormi doti fisiche sovrastate da due occhioni blu ipnotici.

La rivista lo ha scelto come rappresentante dell'Italia talentuosa che raggiunge i traguardi col duro lavoro, tanto sudore e senza scorciatoie. Nell'intervista il ballerino spiega come è arrivato a diventare "IL" ballerino e tutti i sacrifici che ha dovuto fare per arrivare all'ambito traguardo:

"Non mi pesavano i corsi, le lunghe ore di lezione. Mi pesava quello che veniva dopo: aspettare da solo la mensa serale, rientrare da solo a casa della vecchia signora dove abitavo, chiudermi da solo nella mia stanza a fare i compiti. Ero poco più che un bambino, mi mancavano i miei genitori, i miei fratelli. Piangevo. Ballo da sempre, tutto qui. A 4 anni, il sabato sera, c’era Fantastico e io ballavo davanti al televisore. A 7, ho visto quello che stava imparando una compagna a scuola di danza, e ho chiesto di essere iscritto anche io. Il primo impatto non mi è piaciuto – ero abituato a muovermi liberamente e invece lì erano regole e schematismi – ma pian piano mi sono innamorato dei movimenti, della forma mentale. Oggi, nell’era dei talent, la danza va di moda anche tra i maschi, all’epoca ero solo, ma non ci sono stati con gli amici momenti di imbarazzo alla Billy Elliot, perché quello era un momento della mia giornata che non si intersecava con gli altri: andavo a scuola, andavo ai boy scout, andavo a ballare".

Uno dei pochi ballerini che a 21 anni vantava un contratto indeterminato alla Scala di Milano come primo ballerino, lasciandolo dopo due anni per fare il precario di lusso in giro per il mondo:


"Quando ho dato le dimissioni, tutti – familiari, amici – mi dicevano: “Ma sei sicuro? Dopo appena due anni da Primo ballerino, non te la puoi godere un attimo?”. Poteva andare male: niente copertura degli infortuni, niente tredicesima, sei solo tu e ogni volta devi dimostrare di essere all’altezza, perché a New York ti invitano oggi e magari domani non più. Tutte le aspettative su di te, la pressione emotiva pesantissima. Capisco Phelps quando dice: “Smetto di nuotare, voglio una vita normale”. Conosco la frustrazione di avere così poco tempo per le altre cose che ami – il cinema, una serata con gli amici –, di doverti allenare tutti i giorni della vita, perché a certi livelli di atletismo bastano due giorni di stop per accorgerti che hai perso terreno, e allora io un po’ di esercizi quotidiani li devo fare anche nell’unica pausa che mi prendo d’estate, altrimenti so già quanto sarà doloroso il rientro".

E nel futuro si vede maître de ballet per aiutare i giovani (oh mamma! Non mi dire che ce lo vediamo ad Amici!):

"Sono molto autocritico, e penso che riuscirò a dire basta prima di smettere di regalare armonia e bellezza. Dopo, non so. Di certo mi prenderò un po’ di tempo, la cosa che mi manca di più. Viaggerò. Ma non mi ci vedo ad abbuffarmi di patatine davanti alla Tv. Quando sei ballerino, lo sei per sempre: Alessandra Ferri continua a prendere lezioni dal suo vecchio insegnante. Ecco, il maître de ballet è un mestiere che potrebbe fare per me: mi piace aiutare i giovani".

Infine Bolle parla anche della sua famiglia e del suo riserbo nei sentimenti (forse per questo non si è mai dichiarato gaio apertamente !?!):

"La danza mi ha migliorato anche come persona. Ho sempre ballato meglio in scena che durante le prove perché il contatto con il pubblico e la “corazza” del personaggio mi permettono di lasciarmi andare, di vivere e comunicare emozioni, di non essere trattenuto e timido come per natura sono. È stato terapeutico, mi ha dato la possibilità di esprimere cose che ancora fatico a tirare fuori, ed è un lavoro in corso. Perché mi pesa dire di no o fare una critica, ho paura di ferire, e troppo spesso subisco in silenzio le situazioni a cui dovrei ribellarmi. E poi, in famiglia siamo abituati a un certo riserbo nel comunicare i sentimenti. L’affetto c’è ed è sincero, ma a volte le cose bisogna anche dirle. Fatico a dire ai miei “ti voglio bene”, so che lo sanno ma dirlo è importante. Voglio imparare a dirlo di più». 




Nessun commento:

Posta un commento