07/01/2015 – Parigi – Francia - Repubblica
democratica. Liberté, Égalité, Fraternité.
O almeno questo è quanto narra la costituzione francese dal 1958, senza contare che dai tempi della rivoluzione francese ce la menano con questo motto. E sette anni fa, quando mi sono trasferito qui, quasi c’avevo creduto allo slogan. Manco fossi un vecchietto di novant’anni che si fa imbonire dalle cialtronerie di Berlusconi dei tempi d’oro che prometteva mari e monti pur d’avere qualche voto e farsi gli affari suoi.
O almeno questo è quanto narra la costituzione francese dal 1958, senza contare che dai tempi della rivoluzione francese ce la menano con questo motto. E sette anni fa, quando mi sono trasferito qui, quasi c’avevo creduto allo slogan. Manco fossi un vecchietto di novant’anni che si fa imbonire dalle cialtronerie di Berlusconi dei tempi d’oro che prometteva mari e monti pur d’avere qualche voto e farsi gli affari suoi.
E poi invece, col passare degli
anni, scopri che quello che dovrebbe essere l’articolo due della costituzione,
la base di tutto, è una mezza fregatura, quasi un’utopia. Un pò come dire che l’Italia
è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. L’Égalité ce la siamo giocata
quando i fascistoidi di Le Pen, e compagnia varia, hanno fatto di tutto per
bloccare la legge sul matrimonio omosessuale. Tutti bravi a parole, ma poi
quando si passa ai fatti concreti c’è chi ci ripensa e vuole fare marcia
indietro.
La Fraternité ce la siamo giocata
con le innumerevoli faide e litigi tra razze, etnie, culture, religioni, identità
sessuali che ci sono sistematicamente e quotidianamente, alla faccia del Paese
interraziale che è. Viviamo tutti insieme, fianco a fianco, ma appena si può
via d’insulti e rinfacciamenti vari. Tra ebrei, cattolici e musulmani c’è
sempre qualcosa da trovare per litigare.
A completare il trittico ci
mancava la Liberté. Ed eccola
che vacilla una mattina come tante, in questo freddo gennaio. Dodici persone
vanno a lavorare come tutti i giorni e si ritrovano massacrati con la sola
colpa d’aver fatto dei disegni ritenuti offensivi, manco fossimo nel medioevo. Una pseudo legge del taglione. Dove non arriva il tribunale tramite una denuncia a
farti zittire e portare rispetto, arriva il mio kalachnikov. Molto più semplice
e meno costoso che una causa per diffamazione che potrebbe durare degli anni.
Quello che non capisco è come si possa minimamente pensare di sentirsi offesi da un giornale che fa della satira, e proprio per questo a volte sopra le righe, che ha come unico obiettivo quello di far riflettere, indignare e mettere in evidenza i problemi quotidiani cercando di strappare un sorriso. E anche se ci si dovesse offendere, non mi capacito come si possa arrivare a provare tanto odio verso il prossimo, a tal punto da volerne la morte e sterminare un’intera redazione. Dove siamo arrivati, in quale mondo viviamo se nel 2015 ancora dobbiamo aver paura d’esprimere le proprie idee, dove non possiamo esprimere liberamente il proprio pensiero altrimenti il primo che s’offende ci spara in testa senza un briciolo di pietà.
Questi due "coglioni",
lasciatemi passare il complimento, di punto in bianco una mattina si sono alzati e
hanno deciso di vendicare il profeta, Allah e l’intero mondo di musulmani nel
modo più becero, viscido, insensato e codardo che ci possa essere. Andando nella
redazione del giornale satirico che aveva osato "sbeffeggiare" la
loro religione (manco se la prendessero solo con loro), Charlie Hebdo, e
facendo l’appello dei vignettisti uno ad uno, sterminandoli durante la riunione
di redazione. Come se bastasse questo a fermare la libertà di parola e
pensiero.
Al contrario, da quando questo
giornale non se lo cagava quasi più nessuno, tanto dal vedersi sull’orlo del
fallimento a causa degli alti costi (per la libertà d’espressione non hanno mai
voluto pubblicità e si mantenevano con i 3 euro a copia che costava) e dei
pochi abbonati (12 mila), l’atto terroristico ha dato nuova linfa al settimanale
facendogli una pubblicità epocale nel mondo intero, facendogli raggiungere introiti
altissimi grazie ai doni delle persone e società toccate emotivamente dalla
tragedia e che hanno voluto supportarli in ogni modo per non farli chiudere e
restare vessillo della libertà d’espressione, e facendo sbloccare degli aiuti
statali per far continuare a vivere il giornale.
E quello che mi fa rabbia, tanto
quanto l’infame attentato, è proprio questo attivismo da parte della gente che
fino a un minuto prima se ne fregava delle vicende del settimanale. Dal 2006 la
redazione era minacciata di morte e il direttore era scortato da un agente, avevano
avuto più volte rappresaglie contro (gli hanno pure bruciato la redazione) e i
soldi per tirare avanti erano sempre meno, tanto dal fare una raccolta fondi
nel novembre scorso per cercare di sopravvivere. Ma si sa, fino a che non ci
scappa la tragedia e il morto, in questo caso ben dodici, nessuno si sente
toccato da vicino. Solo lo scempio delle immagini, la barbaria dell’evento
senza precedenti in Francia e la paura di vivere in un posto ormai non più
sicuro, hanno fatto smuovere le coscienze e fatto dire quest’oggi, a circa 4
milioni di persone di tutte religioni e razze, "Je suis Charlie".
Ebbene si, perchè siamo tutti dei
Charlie e nessuno vorrebbe fare la sua fine. Massacrato a sangue freddo senza
un minimo di pietà con la sola colpa d’aver avuto la libertà di dire ciò che
pensava, sempre e comunque, a costo della propria vita. Un simbolo di un Paese
che vorrebbe rimanere libero sempre e comunque, perchè non si può morire per
una battuta. Nella speranza che questo atroce evento faccia riflettere e cambiare le cose. Rip Charlie!
Bel articolo, purtroppo oggi siamo in 2016 e la Francia (e l'Europa) non sta davvero meglio. :(
RispondiEliminaNB1: È un po' difficile da ridere il testo bianco sul nero.
NB2: Scusami per le errori, sono francese.
Franck.